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Massimo d'Azeglio

Al 2024 le opere di un autore italiano morto prima del 1954 sono di pubblico dominio in Italia. PD
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Massimo d'Azeglio

Massimo Taparelli, marchese d'Azeglio (1798 – 1866), scrittore, pittore e politico italiano.

Citazioni di Massimo d'Azeglio

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  • A Napoli, noi abbiamo altresì cacciato il sovrano per stabilire un Governo fondato sul consenso universale. Ma ci vogliono, e sembra che ciò non basti, per contenere il regno, sessanta battaglioni; ed è notorio che, briganti o non briganti, niuno vuol saperne.
    Ma si dirà: e il suffragio universale? Io non so nulla di suffragio, ma so che al di qua del Tronto non sono necessari battaglioni e che al di là sono necessari. Dunque vi fu qualche errore; e bisogna cangiare atti e principi. Bisogna sapere dai Napoletani, un'altra volta per tutte, se ci vogliono, sì o no. Capisco che gli italiani hanno il diritto di far la guerra a coloro che volessero mantenere i tedeschi in Italia, ma agli italiani, che restando italiani non volessero unirsi a noi, credo che non abbiamo il diritto di dare archibugiate; salvo si concedesse ora che, per tagliar corto, noi adottiamo il principio in cui nome Bomba bombardava Palermo, Messina ecc. Credo bene che in generale non si pensa in questo modo; ma siccome io non intendo rinunciare al diritto di ragionare, così dico dico ciò ch'io penso [...].[fonte 1]
  • Al solito, Luisa: quando tu arrivi, io me ne vado.[fonte 2] [ultime parole, rivolte alla moglie]
  • Che cosa sia il Ghetto di Roma, lo sanno i Romani e coloro che lo hanno veduto. Ma chi non l'ha visitato sappia che presso il ponte a Quattro Capi s'estende lungo il Tevere un quartiere, o piuttosto un ammasso informe di case e tuguri mal tenuti, peggio riparati e mezzo cadenti (ché ai padroni, per la tenuità delle pigioni che non possono soffrir variazioni in virtù del jus gazagà[1], non mette conto spendervi se non il pretto indispensabile), nei quali si stipa una popolazione di 3900 persone, dove invece ne potrebbe capire una metà malvolentieri.[fonte 3]
  • Caro Camillo, non è più tempo oggi di discutere la tua politica ; è tempo di farla trionfare.[2]
  • Insomma, caro sig. Diomede, si cammina sì o no? Per un pezzo confesso che a vedere un simile ventre à terre, credeva che si finisse per rompersi il collo. Ora mi par di no. Ma in tutti i modi la fusione coi Napoletani mi fa paura; è come mettersi a letto con un vaiuoloso! Basta, tutto volta bene ora. Speriamo! Su tutto l'andamento delle cose non ti parlo. Ci vorrebbe volumi.[fonte 4]
Insomma, caro sig. Diomede, si cammina sì o no? Per un pezzo confesso che a vedere un simile ventre à terre, credevo che si finisse a rompersi il collo. Ora mi par di no, e speriamo. Se però ti volessi dire tutto quello che sento dell'insieme delle cose, ci vorrebbe un volume.[3][fonte 5]
  • L'assoluto è il peggior nemico della buona politica, come la scienza dell'aspettare è la sua più fedele alleata.[fonte 6]
  • L'Italia, l'Europa ed il mondo giammai avranno riposo, finchè non sarà assimilata, trasfusa nel sangue dell'universale, la persuasione di non esservi nè Governo, nè indipendenza, nè libertà possibili, senza la responsabilità legale d'ogni potere, d'ogni partito, d'ogni associazione, come di ogni individuo, ridotta in patto vero, reale, e rarissimamente, meno che si può, falsata da qualche eccezione.[4]
  • [...] la prima delle cose necessarie, è di non spendere quello che non si ha.[fonte 7]
  • La maggior forza d'una protesta sta nell'essere rigorosamente giusta, e rigorosamente incolpabile di violenza.[fonte 8]
  • La verità non prospera che al sole.[fonte 9]
  • [...] meno partiti ci sono, e meglio si cammina. Beati i paesi dove non ve ne sono che due: uno del presente, il Governo; l'altro dell'avvenire, l'Opposizione. Un tale stato di cose è segno della robusta salute d'una nazione; è segno che in essa le questioni di vera utilità pubblica soffocano le questioni d'utilità private, di persone, di sètte, ec., ec.[fonte 10]
  • Non posso per altra parte mancare alla mia promessa di non tacere giammai ciò che alla mia mente presenta evidenza di verità. Mi si conceda dunque di dirla e si consideri, che la verità è simile ad un raggio di sole. Giunga esso all'occhio refratto dai nitidi filetti d'un diamante, o vi giunga ripercosso dal rozzo frantume di vetro che giace in sulla via, è sempre egualmente un raggio di sole. S'io dunque non avrò saputo esprimer la verità, malgrado il mio studio e desiderio di trovarla, ricada su me il dileggio; ma se dicessi parole vere, si accettino; ancorché non sia in me né sapienza né autorità per convalidarle.[fonte 11]

Attribuite

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La battaglia di Legnano (M. d'Azeglio, 1831)
[Errata] La frase viene spesso attribuita a d'Azeglio in diverse forme. In realtà essa rappresenta una sintesi non completamente fedele di un pensiero espresso dallo stesso d'Azeglio ne I miei ricordi.[fonte 12][fonte 13] Molte fonti riportano che il primo a citare la frase di d'Azeglio in questa forma fosse stato Ferdinando Martini nel 1896[fonte 13] e per questo motivo qualcuno arriva ad attribuire questa versione della frase allo stesso Martini.[fonte 14][fonte 17] In realtà le prime attribuzioni a d'Azeglio di questa versione (o comunque di versioni molto simili) della frase risalgono a ben prima del 1896: Rivista sicula di scienze, letteratura ed arti (1870), conferenze di Francesco De Sanctis a Napoli (1872-1873), L'Italia vivente di Leone Carpi (1878).[fonte 12][fonte 15][fonte 16]
  • Se vogliono fare l'Italia, bisognerà che pensino prima a fare un po' meno ignoranti gli Italiani.[fonte 18]
Ferdinando Martini narra che d'Azeglio avrebbe pronunciato tale frase in un colloquio a Montecatini.[fonte 19]

Ettore Fieramosca

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Al cadere d'una bella giornata d'aprile dell'anno 1503 la campana di San Domenico in Barletta sonava gli ultimi tocchi dell'avemaria. Sulla piazza vicina in riva al mare, luogo di ritrovo degli abitanti tranquilli che, nelle terricciuole dei climi meridionali specialmente, sogliono sulla sera essere insieme a barattar parole al sereno per riposarsi dalle faccende del giorno, stavano col fine medesimo dispersi in vari gruppi molti soldati spagnuoli ed italiani, alcuni passeggiando, altri fermi, o seduti, od appoggiati alle barche tirate a secco, delle quali era ingombra la spiaggia; e, com'è costume delle soldatesche d'ogni età e d'ogni nazione, il loro contegno era tale che pareva dire: il mondo è nostro.

Citazioni

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  • Al chiarore che si diffondeva dall'oriente svanivano a poco a poco e si perdevano l'ultime stelle. Già il sole illuminava le più alte cime del Gargano tingendole d'un roseo che si mutava in pavonazzo ne' seni ombrosi del monte, mentre il lido sottoposto, che girava a guisa di mezza luna, congiungendosi al littorale ov'è posta Barletta, mostrava col giorno crescente un ameno e diverso intreccio di valli e di colli che scendevano a bagnarsi nel mare. I folti castagneti che sulle vette già venivano indorati dal sole, diradandosi verso le falde eran interrotti ora da prati verdissimi, ora da qualche pezzo coltivato. Qua una frana lasciava biancheggiar il macigno, là il fianco d'un giogo si tigneva di colori gialli, rossicci, secondo la natura del suolo. Il mare ceruleo pareva immobile; se non che ribollendo sotto le rupi ne cingeva il piede con una striscia di spume candidissime. Nella parte più interna del golfo sopra un'isoletta che era congiunta alla terra da un ponte lungo e stretto, sorgeva fra le palme e i cipressi un monastero con una chiesuola ed un campanile, munito all'intorno di torricelle e mura merlate, onde salvarlo da un primo assalto di corsari e di Saracini. (cap. III)
  • Bello spettacolo era (specialmente per chi, ponendosi all'estremità del campo, volgesse le spalle all'interno delle terre ed il viso alla marina) il vedere una così ricca scena campestre ravvivata da tal moltitudine piena di tanto moto e di tanta vita: a destra elevarsi sul cielo le grandiose masse degli elci, ed al color cupo delle lor foglie mischiarsi il verde più vivace e gajo d'arboscelli minori; su un piano più lontano dietro questi, la terra di Quarato, della quale si copriva soltanto la porta difesa da una torre addossata a rupi, al cui piede serpeggia la strada: in mezzo il campo, ed al di là il lido dell'Adriatico, la città e il castello di Barletta, e le forme colorite degli edifizi spiccate sulla tinta azzurra del mare: più lontano il ponte e l'isola di S. Orsola, gli alti gioghi del Gargano, e la linea dell'orizzonte: a manca poi, le colline che a poco a poco si vengono alzando; e rimpetto al luogo destinato ai giudici, sovra un terreno disuguale, vestito d'erba fresca, gruppi di altissime querce coi tronchi rivestiti d'edera, e nel pieno vigore della ricca vegetazione. (cap. XIX)
  • Tutti coloro che narrano o scrivono una storia, (siamo sinceri) hanno in sè un po' di speranza ch'essa possa dilettare, e che si trovi qualcuno che l'ascolti o la legga fino alla fine: anche noi abbiam sempre avuto riposta in un cantuccio del cuore questa speranza, che simile alla fiamma d'una candela esposta al vento alle volte si faceva maggiore, (rida pure il lettore che ha ragione) alle volte piccina piccina e stava per ispegnersi; ma l'amor proprio ha saputo governarla così bene che non s'è spenta mai fin'ora. (conclusione)

Citazioni su Ettore Fieramosca

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  • L'Ettore Fieramosca uscì nel 1833 a Milano e fu accolto con tale entusiasmo che molti affermarono essere il romanzo opera del Manzoni, mentre questi, come è noto, si limitò a correggerne gli ultimi periodi. (Lorenzo Gigli)

I miei ricordi

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Da parecchi anni mi si viene affacciando il progetto di scrivere l'istoria della mia vita. Ma ogni qualvolta quest'idea, anzi questo desiderio mi si presenta alla mente, rimane tosto avviluppato e reso incerto da mille dubbi. Merita la mia vita d'esser narrata? Perché sento io il desiderio di narrarla? Mi muove un sentimento lodevole, od è questo un laccio che mi vien teso da un volgare e malaccorto amor proprio?

Citazioni

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  • Io chiamo eroi quelli che sacrificano agli altri: non già quelli che sacrificano gli altri a . (Origine e scopo dell'opera; vol. I, p. 3)
  • [...] gl'Italiani hanno voluto far un'Italia nuova, e loro rimanere gl'Italiani vecchi di prima, colle dappocaggini e le miserie morali che furono ab antico il loro retaggio; perché pensano a riformare l'Italia, e nessuno s'accorge che per riuscirci bisogna, prima, che riformare sé stesso; [...]. (Origine e scopo dell'opera; vol. I, pp. 6-7)
  • [...] il primo bisogno d'Italia è che si formino Italiani dotati d'alti e forti caratteri. E pur troppo si va ogni giorno più verso il polo opposto: pur troppo s'è fatta l'Italia, ma non si fanno gl'Italiani.[5] (Origine e scopo dell'opera; vol. I, p. 7)
  • L'Italia è l'antica terra del dubbio. [...] Il dubbio è un gran scappafatica; lo direi quasi il vero padre del dolce far niente italiano. (cap. I; vol. I, pp. 30 e 33)
  • [...] non è l'ingegno sottile (l'esprit) quello che forma le nazioni; bensì sono gli austeri e fermi caratteri: [...]. (cap. I; vol. I, p. 33)
  • [...] se le navi vanno generalmente meglio degli Stati, ciò accade per la sola ragione che in esse ognuno accetta la parte che gli compete, mentre negli Stati generalmente, meno se ne sa, più s'ha la smania di comandare. (cap. II; vol. I, p. 55)
  • [...] vi sono momenti nella vita che basterebbero a pagare, a compensare i tormenti d'un'eternità. (cap. II; vol. I, p. 59)
  • [...] tutti siamo d'una stoffa nella quale la prima piega non scompare mai più. (cap. V; vol. I, p. 97)
  • In ogni genere ed in ogni caso, il governo debole è il peggiore di tutti. (cap. V; vol. I, p. 101)
  • Paragonerei la frode all'acquavite: pare che sul momento dia forza, ma poi vi lascia più spossato di prima. (189314; cap. IX, p. 109)
  • Non sarebbe la musica una lingua perduta, della quale abbiamo dimenticato il senso, e serbata soltanto l'armonia?[6] (cap. X; vol. I, pp. 199-200)
  • La vanità vuol l'applauso. (cap. XI; vol. I, p. 223)
  • L'affetto vero, leale, incondizionato, è un gran tesoro; è il più grande che esista. (cap. XV; vol. I, p. 298)
  • [...] si deve dire la verità e mantenere la parola data, a tutti... persino alle donne! (cap. XV; vol. I, p. 301)
  • [...] ad un governo ingiusto nuoce più il martire che non il ribelle. (cap. XVI; vol. I, p. 317)
  • Le rivoluzioni non le facciam noi: le fa Iddio; e per persuadersene basta riflettere con quali istrumenti riescono. (cap. XVI; vol. I, p. 319)
  • L'abitudine è mezza padrona del mondo: così faceva mio padre – anche in quest'era di rivoluzioni – è sempre una delle grandi forze che guidano il mondo. (cap. XVIII; vol. I, p. 395)
  • Concederò ai teologi che l'amore illecito è sempre un inconveniente sociale; ma rimarrà pure innegabile, che anche un amore illecito può esser molte volte degno e generoso, e spingere ad opere utili, ed a nobili sacrifizi; mentre il tristo errore di lasciarsi cogliere dalla sola bellezza, unita ad un'anima, se non perversa, fiacca e triviale, strascina talvolta ad incalcolabili conseguenze, tormento e danno dell'intera vita. (cap. XXIII; vol. II, p. 119)
  • Senza cuor contento non c'è bene che valga, come col cuor contento non c'è male che nuoca in questo mondo. (cap. XXIV; vol. II, p. 150)
  • Se il fil di canapa è marcio, non s'avrà mai corda buona. Se l'oro è di saggio scadente, non s'avrà mai moneta buona. E se l'individuo è dappoco, ignorante e tristo, non s'avrà nazione buona, e non si riuscirà mai a nulla di solido, d'ordinato e di grande. (cap. XXIV; vol. II, p. 167)
  • [...] l'ozio avvilisce ed il lavoro nobilita: perché l'ozio conduce uomini e nazioni alla servitù; mentre il lavoro li rende forti ed indipendenti: questi buoni effetti non sono già i soli. L'abitudine al lavoro modera ogni eccesso, induce il bisogno, il gusto dell'ordine; dall'ordine materiale si risale al morale: quindi può considerarsi il lavoro come uno dei migliori ausiliari dell'educazione. (cap. XXX; vol. II, p. 336)

Incipit di alcune opere

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Dell'Emancipazione civile degl'Israeliti

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Non credo necessario entrare nella narrazione di fatti anteriori all'epoca delle Crociate. Basterà l'accennare che sin dai tempi degl'imperatori, vennero spesso avvolti gli Israeliti nelle persecuzioni medesime dei Cristiani, ed ebbero al paro di essi ad incontrare le torture e la morte. Quando poi l'Europa uscì da quello stadio che comprende l'invasione de' barbari ed il dominio delle prime dinastie ​dei loro re (stadio nel quale l'umana società era scesa al punto più basso al quale forse potesse arrivare), essendosi addensate allora più che in verun altro tempo le tenebre dell'ignoranza, e dilatato in ogni parte il regno della violenza la piena dell'iniquità e de' più atroci delitti; uscita, dico, l'Europa da quest'epoca funesta, parve sentisse generalmente il bisogno d'una grande espiazione d'una penitenza dura e travagliosa, non inferiore al cumulo dei delitti commessi, che pesasse ugualmente su tutta la vivente generazione: e l'Europa s'offriva spontanea alle due più gravi pene che si conoscano, l'esilio e la morte; e presa la Croce, si moveva verso Oriente.

Niccolò de' Lapi; ovvero, i Palleschi e i Piagnoni

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I fatti che stiamo per narrare accaddero circa il tempo in cui Firenze era assediata dall'esercito di Carlo V, il quale per mandare ad effetto il trattato di Barcellona conchiuso con Clemente VII, voleva costringere i Fiorentini a sottomettersi al dominio de' Medici.
Il popolo di Firenze negava di riceverli pure come privati e si difendeva, fatto animoso dalla memoria di que' Medici stessi tanto facilmente cacciati nel 1527; dalle profezie di fra Girolamo Savonarola; dal desiderio del viver libero; dall'armi e dalle fortezze ond'era munito per cura della parte detta de' Piagnoni, i quali s'avvedevano non esser l'Imperatore ed il Papa per contentarsi che i Medici tornati in patria cogli altri sbanditi Palleschi vi stessero quali privati cittadini, ma sotto tal modesta domanda aver in animo di farneli signori.

Racconti, leggende e ricordi della vita italiana

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Quando si principia a invecchiare, ricordarsi e raccontare diverte. Vorrei dunque divertirmi qualche mezz'ora – non avendo di meglio mentre cresce il grano – ricordandomi di quand'ero giovane e non facevo altro che girar l'Italia per tutti i versi. Studiavo pittura per prima cosa; ma siccome per natura sono indagatore, studiavo e cercavo il vero in tutto.
Come è naturale, n'ho viste di tutte le razze, e m'è rimasta in mente una faraggine di storielle da averne per un pezzo.
Vediamo se mi riuscisse di ricordarmene di qualcuna; e quel che è piú difficile, di farle leggere.

Citazioni su Massimo d'Azeglio

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  • Animo d'artista, indole di romanziere, fantasia di poeta, senno di chi ha fatto non leggieri studi, buon senso dell'uom che pensa, vezzi ed eleganza d'antica nobiltà, spirito e cuore d'Italiano: eccovi Massimo d'Azeglio celebre pittore, scrittore egregio, coraggioso soldato, amatore di patria, uomo di Stato, ministro — e galantuomo! (Vittorio Bersezio)
  • Azeglio sta in campagna colla fantasia, colla persona e col pennello; e non rompe i silenzi delle sue selve e del suo pensiero che per bofonchiare gli uomini con la eroicomica figura di Ferraù o per scozzonarne il sonno coll'improwiso ariete di Quistioni urgenti, or fatte urgentissime. (Giuseppe Guerzoni)
  • I quadri del D'Azeglio apparranno o monotoni, o sbiaditi a quanti sono avvezzi allo spettacolo di certe scuole moderne, ma saranno di scuola a quegli altri che pensano la fantasia umana non potere aggiungere ma scemare bellezza alla natura. (Giacomo Bonafede Oddo)
  • La libertà e il benessere di questo paese [il Piemonte sabaudo] – erano strozzati dal favoritismo di Corte e da un insolente nipotismo aristocratico. D'Azeglio per sé spregiatore d'ogni distinzione, fuor quella che nasca dal merito personale, parea non aver fermezza di mente necessaria a staccarsi dalle sue associazioni di famiglia e di casta. Si esagerava il pericolo di una troppo aperta guerra coll'antica nobiltà, la quale pure, come corpo, era impotente a far male come a far bene. Parlava di riforme, di avanzamento del vero merito, ma poi, dolce di cuore, lasciava correre. Sfuggiva all'impegno di una lotta con uomini avvezzi a riguardar lo Stato come una fattoria intesa a beneficio di se medesimi, dei loro parenti ed amici. (Antonio Gallenga)
  • Pittore e scrittore, artista e letterato; in sé congiunge le due diverse forme della stessa sostanza. È dipinge il paese e vi annette una circostanza storica; scrive romanzi ed all'orditura trovata dall'immaginazione ed agli eventi ricavati dalla storia immette un pensiero patrio di cose pubbliche moderne. — La penna ed il pennello, il libro e la tela, le bellezze della natura e gl'insegnamenti delle storie ha fatto, colla misura delle sue forze, concorrere a dire ai presenti il concetto capitale e necessario dell'Italia de' suoi tempi. (Vittorio Bersezio)
  • Se Massimo Taparelli D'Azeglio, dopo aver tanto gridato: Fuori lo straniero, fu preso dal dubbio d'esser egli straniero, il principe di Francalanza era esente da simile scrupolo. (Federico De Roberto)

Note

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  1. Diritto per gli inquilini ebrei all'uso perpetuo dell'abitazione dietro corresponsione di un canone annuo ai proprietari cristiani.
  2. Da una lettera a Cavour, febbraio 1859; citato da Stefano Massari nella Tornata del 26 gennaio 1871 della Camera dei Deputati (Regno d'Italia).
  3. Lo stesso passo della stessa lettera appare diverso nel Carteggio inedito, a cura di Giovanni Faldella, 1888 e negli Scritti postumi, a cura di Matteo Ricci, 1871. Nella versione riportata da Matteo Ricci (genero di d'Azeglio) è infatti assente la frase: «Ma in tutti i modi la fusione coi Napoletani mi fa paura; è come mettersi a letto con un vaiuoloso!»
  4. Citato da Antonio Rinaldi nella Tornata del 3 maggio 1887 della Camera dei Deputati (Regno d'Italia).
  5. Per approfondire sulla citazione, vedi la sezione Attribuite.
  6. Citato in Dizionario delle citazioni, a cura di Italo Sordi, BUR, 1992. ISBN 88-17-14603-X

Fonti

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  1. Da una lettera a Carlo Matteucci, 2 agosto 1861; riportata in La Civiltà cattolica, anno XX, serie IV, vol. XI, Roma, 1861, p. 619.
  2. Citato in Martina Corgnati (a cura di), Massimo d'Azeglio: pittore, Mazzotta, 1998, p. 90. ISBN 88-202-1275-7
  3. Citato in Armando Ravaglioli, Il Ghetto di Roma, Tascabili economici Newton, Roma, 19992, p. 23.
  4. Da una lettera a Diomede Pantaleoni, 17 ottobre 1860, in M. d'Azeglio e D. Pantaleoni, Carteggio inedito, a cura di Giovanni Faldella, 1888.
  5. Da una lettera a Diomede Pantaleoni, 17 ottobre 1860, in Scritti postumi, p. 460.
  6. Da Per il trasferimento della capitale a Firenze, discorso detto in Senato il 3 dicembre 1864; in Scritti politici e letterari, vol. II, p. 515.
  7. Da una lettera alla figlia Alessandrina, 1º dicembre 1852; in Scritti postumi, p. 322.
  8. Da Degli ultimi casi di Romagna, Tipografia della Svizzera italiana, Lugano, 1846, p. 114.
  9. Da Agli elettori, lettera, 1865, XV; in Scritti politici e letterari, vol. II, p. 576.
  10. Da Agli elettori, lettera, 1865, IV; in Scritti politici e letterari, vol. II, p. 541.
  11. Da una lettera al professore Francesco Orioli, 28 marzo 1847; in Scritti politici e letterari, vol. I, pp. 239-240.
  12. a b c Cfr. C. Gigante, Fatta l'Italia, facciamo gli Italiani. Appunti su una massima da restituire a d'Azeglio, Rivista europea di studi italiani, 2011, pp. 5–15; riportato in parte in Rivista-incontri.nl.
  13. a b c Cfr. "Fatta l'Italia, bisogna fare gli Italiani", StudiCassinati.it.
  14. a b Cfr. Magdi Allam, Io amo l'Italia: ma gli italiani la amano?, Edizioni Mondadori, 2006, p. 255. ISBN 8804556552
  15. a b Citato in Rivista sicula di scienze, letteratura ed arti, vol. 3, 1870, p. 507.
  16. a b Citato in Leone Carpi, L'Italia vivente: aristocrazia di nascita e del denaro-borghesia-clero burocrazia; studi sociali, F. Vallardi, 1878, p. 229.
  17. Cfr. (EN) Timothy Baycroftm e Mark Hewitson, What Is a Nation?: Europe 1789-1914, OUP Oxford, 2006, p. 256. ISBN 0191516287
  18. Citato in Ferdinando Martini, Illustrazione italiana, 16 febbraio 1896, p. 99.
  19. Cfr. Giuseppe Fumagalli, Chi l'ha detto? Tesoro di citazioni italiane e straniere, di origine letteraria e storica, Milano, Hoepli, 1921, pp. 208-209.

Bibliografia

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Filmografia

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Altri progetti

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