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Istoria delle guerre gottiche/Libro secondo/Capo VI

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CAPO VI.

Gottici ambasciadori mandati a trattar di pace con Belisario; tregua infra essi.

I. I barbari fuor d’ogni speme intorno al proseguimento della guerra volsero il pensiero alla partenza, essendo per la strage della moría e delle battaglie ridotti a ben pochi dalle tante miriadi che inondavano armata mano le imperiali terre; e quantunque pochi venivano travagliati sì grandemente dalla fame, non ricevendo più maniera alcuna di vittuaglia, che appena di nome e di apparenza considerarsi poteano assediatori, e meglio in effetto sarebbe lor convenuto chiamarli assediati. Fatti di più consapevoli che l’imperatore avea spedito da terra e da mare un esercito ai Romani, non debole come in realtà era, ma quale a suo arbitrio la fama pingevalo, spaventati dalla guerra ivano rimestando nell’animo di sollecitare la partenza. Inviano adunque oratori a Roma scegliendo all’uopo un costei cittadino, autorevole presso de’ Gotti, con altri due, il quale presentatosi a Belisario dicevagli: « Chiunque di voi ha sperimentato le sciagure della guerra non ignora, affè mia, che nessuna delle parti ebbene mai profitto: e chi di noi e di voi oserebbe impugnare il noto a tutti? Nè, a mio credere, avrò contraddittori tranne un demente, nell’asserire stoltezza per uno stimolo di onore il voler mai sempre ravvolgere nei [p. 165 modifica]mali, anzi che procacciare un termine alle comuni molestie. Andando pertanto così le bisogne dovranno i rettori d’ambe le genti anzi che fare strazio, per acquistar gloria, delle vite de’ sudditi, mettere un fine, col seguire quanto giustizia ed una scambievole utilità impongono, alle presenti sciagure. Conciossiachè l’amore della moderazione ben ha il mezzo di combinare ogni ardua e malagevol cosa, la soverchia cupidigia di maggioranza al contrario mercé di quella sua connaturale malignità non sa mai compiere nulla di buono. Laonde qui veniamo col proponimento di finire la guerra, ed a patti di reciproco vantaggio; avvegnachè per essi cediamo in parte i nostri diritti. Nè voi, o Romani, per certa qual orgogliosa bramosìa di contenderla con noi v’ostinate a preferire un rovinoso partito a quanto il proprio interesse imperiosamente v’inculca. Del rimanente sembrami ora opportuno di ommettere un continuato ragionamento nel disporre questi accordi, ma ove si opini fuor di proposito qualche nostro detto chiederne subito la necessaria dichiarazione, e così ne avverrà ad ognuno di manifestare con brevità ed accuratezza l’animo suo, e di condurre in dicevol guisa a buon fine le assunte funzioni. — Sia pure così, risponde Belisario, per rispetto alla forma del colloquio ù; ma badate bene che il parlar vostro s’addica all’amor della pace ed all’equità.» Proseguono gli oratori de’ Gotti: «Operaste iniquamente, o Romani, coll’impugnare le armi contro di noi vostri amici e confederati, ed a provarvelo ci contenteremo di [p. 166 modifica]rammentar cose a voi tutti note. I Gotti non vennero al possesso dell’ Italia con ispogliarne di forza i Romani. Ben sapete che nei tempi andati Odoacre, tolto di mezzo l’imperatore, si pose alla testa della repubblica mutata da lui in tirannia. Al che Zenone imperatore dell’Oriente, bramoso in sé stesso di vendicare l’ingiuria dal ribelle fatta al suo collega e di tornare alla libertà questa regione, nè da solo potente di abbattere l’usurpatore, persuase a Teudorico signor nostro, il quale faceva grandi apprestamenti per assediarlo entro la stessa Bizanzio, di seco rappattumarsi mercè degli onori già da lui ricevuti, ascrittolo intra’ romani patrizii ed i consolari, e di pigliar le vendette dell’ingiurioso procedere del tiranno verso Augustolo, in premio di che poscia e’ si goderebbe di ottimo diritto unitamente ai Gotti il possesso di queste provincie. A tali condizioni pertanto avuto il regno d’Italia ne conservammo gli statuti e la forma del reggimento con zelo non inferiore a quello di chiunque degli antichi imperatori; nè addur potrebbero gli Italiani legge alcuna, vuoi scritta, vuoi altrimenti, di Teuderico o di altro gottico monarca. Disponemmo eziandio per riguardo al culto divino ed alla credenza che i romani sudditi conservassero il tutto nella sua integrità, nè v’ha esempio sino ad oggi d’Italiano, il quale di proprio volere o per noi costretto abbia cangiato religione, nè di Gotto sottoposto a gastigo comunque per essere passato a quella fede. Tributammo in cambio onori sommi ai romani templi, nessuno avendo fatto unquemai [p. 167 modifica]violenza a quanti vi riposero lor salvezza. Eglino finalmente esercitarono tutte le magistrature, nè ebbervi mai a compagno uom de’ Gotti; e se havvi chi possa incolpare il dir nostro di menzogna prenda qui apertamente a confutarlo. Sotto i Gotti di più non s’interdisse giammai agli Italiani di ricevere ogni anno il consolato dall’imperatore d’Oriente. In onta di tutto ciò voi che non sapeste liberare l’Italia mentre ponevasi a ferro e fuoco da genti dispietate sotto la condotta di Odoacre, il quale malmenolla non meno che per due lustri; voi, ripetiamo, cercate ora disturbarne i legittimi padroni. Uscitene adunque con ogni vostra suppellettile e con tutta la preda. — Voi prometteste, pigliò a dire Belisario, modestia e concisione nel ragionamento, ma siete stati prolissi, e quasi aggiugnerei vanagloriosi. Zenone Augusto in conto veruno commise a Teuderico di guerreggiare Odoacre per lasciarlo quindi signore del regno d’Italia, colla quale determinazione che mai fatto avrebbe se non se passare quelle provincie da uno ad altro tiranno? ma per renderle nuovamente libere e suddite del suo augusto dominio. Il Gotto poi avuta propizia la sorte nell’affidatagli impresa contro il ribelle, mostrossi quindi più che mediocremente ingrato non restituendo l’Italia cui si competeva. Ora, per dirla come la sento, v’ha l’egual misura di scelleraggine tanto nel rifiutarsi a restituire di buon grado al vicino i possedimenti suoi, quanto nel rapirglieli di forza. Guardimi il Cielo del resto dal consegnare a chicchessia le terre d’imperiale diritto: che se bramate [p. 168 modifica]altra concessione, potete qui proporla.» Ed i barbari: «Viva Iddio che nessuno di voi osa accusare il parlar nostro di menzogna! Del resto per non mostrarti ora d’animo contenzioso vi cederemo la Sicilia, isola cotanto grande, ricca e senza cui sperereste indarno conservare franchi da ogni timore l’Africa.» Belisario: «E noi concederemo ai Gotti l’intiera Britannia di gran lunga maggiore della Sicilia, ed in altri tempi ligia de’ Romani, essendo giusto il ricambiare co’ proprii benefizii o favori chi meritò di noi.» I barbari: «Non v'accontentereste tampoco al proporvi la Campania, ed anche la stessa Napoli?» Belisario: «Al tutto che no: addiverremmo colpevoli se disponessimo delle cose d’Augusto senza il consentimento suo.» I barbari: «Ma neppure se di per noi ci multassimo d’un sacrosanto tributo da mandarsi ogni anno all’imperatore?» Belisario: «No certamente, limitandosi tutto il poter nostro a guardare i luoghi ricuperati pel legittimo loro padrone.» I Gotti: «Or su, ti chiediamo almeno la facoltà di presentarci al tuo signore per combinare seco la somma delle cose; ed in grazia di ciò è uopo stabilire un tempo, durante il quale rimangansi i due eserciti in perfetta tregua.» Belisario: «Ebbene siavi accordato; nè porrò mai ostacolo alle vostre buone intenzioni risguardanti la pace.» Di questo modo ebbe fine il colloquio, e gli oratori de’ Gotti avviaronsi ai campi loro. Nei giorni appresso da ambe le parti fu un continuo andivieni per istabilire la tregua, ed alla vicendevole consegna di cospicui personaggi in istatico risolverono di apporvi i nomi loro.