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Il Datore di Lavoro

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tali controlli, ma questa pratica è stata abolita a causa della sua mancanza di imparzialità. Oggi, il controllo sanitario deve essere effettuato da medici pubblici, noto come "visita fiscale". In caso di malattia, il lavoratore deve immediatamente comunicare la sua assenza mediante un certificato medico telematico alle autorità pubbliche e al datore di lavoro. Inoltre, è tenuto a evitare comportamenti che possano ritardare o aggravare la sua guarigione, pena la sospensione dell'indennità per malattia. Il datore di lavoro può richiedere controlli attraverso l'INPS. Il lavoratore deve essere reperibile in orari prestabiliti, e la sua assenza comporta la cessazione dell'indennità e il rimborso delle somme già percepite. La non reperibilità è ammissibile solo in casi eccezionali giustificati. L'articolo 6 tratta le perquisizioni personali. Tali perquisizioni sono generalmente vietate, ad eccezione dei casi in cui siano strettamente necessarie per la tutela del patrimonio aziendale in relazione alla qualità degli strumenti di lavoro o della materia prima o dei prodotti. In questi casi, le perquisizioni possono essere effettuate solo all'uscita dall'azienda, devono rispettare la dignità e la privacy dei lavoratori e devono essere condotte in base a un sistema di selezione automatico e non arbitrario. Inoltre, tali perquisizioni devono essere concordate con le RSA o, in caso di loro assenza, con l'Ispettorato del Lavoro. Le perquisizioni descritte nell'articolo 6 e gli impianti audiovisivi menzionati nell'articolo 4 sono collegati alla questione dei controlli difensivi, ovvero alle misure messe in atto dal datore di lavoro per proteggere il suo patrimonio. La legittimità di tali controlli è ancora oggetto di dibattito.

Il malato oggi deve:

  • Comunicare immediatamente tramite certificato medico telematico la propria assenza per malattia agli enti pubblici e al datore di lavoro;
  • Astenersi da avere comportamenti che possano ritardare la guarigione o aggravarla (pena la cessazione dell'indennità per malattia). I controlli possono essere anche richiesti dal datore di lavoro all'INPS;
  • Essere reperibile in una fascia oraria prestabilita (tutti i giorni dalle 10 alle 12 3 dalle 17 alle 19 per i privati, tutti i giorni dalle 9 alle 13 e dalle 15 alle 18 per i pubblici) che Brunetta aveva esteso ma che sono state nuovamente ridotte in seguito. La sua assenza comporta la cessazione dell'indennità ricevuta e il relativo rimborso di quanto già percepito. È ammessa la non reperibilità solo per motivi fortemente giustificativi.

L'articolo 6 (Visite personali di controllo) disciplina la materia delle perquisizioni personali. Le perquisizioni sono vietate eccetto nei casi in cui siano indispensabili per la tutela del patrimonio aziendale in relazione alla qualità degli strumenti di lavoro e della materia prima o dei prodotti. In questa ipotesi esse sono comunque vietate all'ingresso nell'azienda (quindi è possibile svolgerle solo all'uscita da essa), deve essere salvaguardata la dignità e la riservatezza dei lavoratori e per eseguirle deve essere applicato un sistema di scelta automatico e non arbitrario. Al terzo comma è stabilito che tali perquisizioni devono essere concordate con le RSA e in caso di sua assenza con l'Ispettorato del lavoro.

Le perquisizioni di cui all'articolo 6 e prima ancora gli impianti audiovisivi di cui all'articolo 4 si collegano a un'altra questione che è quella dei controlli difensivi, cioè di quei controlli messi in atto dal datore di lavoro in difesa del suo patrimonio. Questa questione sulla loro legittimità è ancora dubbia.

Potere Disciplinare o Sanzionatorio

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Se esiste un potere di dirigere, un potere di controllare che quanto ordinato sia effettivamente svolto, esisterà sicuramente un potere di sanzionare quando il lavoratore non compie quanto ordinato. Tale potere è regolato dall'articolo 2106 del Codice Civile (Sanzioni disciplinari) che è strettamente collegato agli articoli 2104 e 2105 sempre del Codice Civile poiché l'inosservanza ad essi da parte del lavoratore comporta la possibilità di sanzione disciplinare. Ma esistono dei limiti comunque a tale potere. Il primo di esso è sicuramente la gravità dell'infrazione. La sanzione, secondo l'articolo 2106 deve essere proporzionale alla gravità dell'infrazione commessa. Solo se c'è proporzionalità c'è legittimità ad impartire la sanzione. Chiaramente si vede che comunque è lasciata molta arbitrarietà al datore di lavoro di decidere. Di qui l'introduzione nel 1970 dell'articolo 7 dello Statuto dei lavoratori. L'articolo 7 (Sanzioni disciplinari) regola l'esercizio del potere disciplinare, cioè ci indica le modalità per esercitarlo. Il legislatore prima di tutto vuole tutelare il lavoratore affinché esso sia consapevole di quali siano gli atti sanzionabili e quali sanzioni esse comportano. Per questo motivo il datore di lavoro deve predisporre un Codice Disciplinare in cui siano individuate, per aree, le azioni sanzionabili e in relazione ad essa le sanzioni. Il Codice Disciplinare è un onere da parte del datore di lavoro che se non redige e poi espone pubblicamente non potrà usare il suo potere disciplinare. Il contenuto di tale codice, in presenza di un contratto collettivo che disponga in materia, dovrà essere conforme allo stesso. Diversamente sarà il datore di lavoro a redigerlo secondo il principio di proporzionalità di cui all'articolo 2106 del Codice Civile e altre limitazioni contenute nell'articolo 7. Il Codice Disciplinare deve essere poi reso pubblico attraverso l'affissione in luogo accessibile da tutti i lavoratori (dove tutti i lavoratori transitano) [la Cassazione impone tra l'altro per questa che essa sia un forma tassativa di pubblicità]. L'articolo 7 nomina alcune sanzioni: il rimprovero orale/verbale o scritto/censura, la multa nel limite massimo di 4 ore di retribuzione, la sospensione dal lavoro e dalla retribuzione per un massimo di 10 giorni. L'articolo 7 non nomina altre sanzioni ma anzi esclude fermamente la possibilità di sanzioni che comportino mutamenti definitivi del rapporto di lavoro fatto salvo da quanto disposto dalla legge 15 luglio 1966 n. 604 (legge sui licenziamenti individuali) che disciplina due casi di licenziamento disciplinare e cioè il licenziamento per giusta causa cioè una causa talmente grave da non consentire il proseguimento del rapporto di lavoro e il licenziamento per giustificato motivo soggettivo cioè per notevoli inadempimenti degli obblighi da parte del lavoratore (il giustificato motivo oggettivo non rientra in questo caso essendo un licenziamento per ragioni dell'azienda e venendo tra l'altro definito come licenziamento economico). In mezzo ci possono essere altre sanzioni che non comportano il mutamento definitivo del rapporto di lavoro e tra questi c'è il "Trasferimento Punitivo" su cui la giurisprudenza si è divisa tra chi lo ammette perché non comporta mutamento della relazione e chi ne nega la possibilità poiché comunque incide su un elemento della relazione che è il luogo di lavoro. Spesso questo trasferimento è adottato con una diversa veste cioè come "Trasferimento per Incompatibilità Ambientale". In questo secondo caso si rientra nell'articolo 2103 del Codice Civile che ammette la possibilità per il datore di lavoro di trasferire il lavoratore per ragioni di esigenza tecnica, organizzativa e di produzione e quindi anche per motivi di rapporto con gli altri colleghi.

Redatto il Codice Disciplinare e reso pubblico, veniamo quindi al Procedimento Disciplinare sempre regolato dall'articolo 7 dello Statuto, e che consta di Tre Fasi:

  1. Fase di Accusa: Il datore di lavoro deve contestare per iscritto al lavoratore il comportamento che si vuole addebitare e la relativa sanzione in modo tale da consentirgli di sapere per cosa è accusato. La contestazione deve essere molto specifica perché tale contestazione sarà poi la base per una possibile impugnazione da parte del lavoratore della sanzione in sede giudiziaria o comunque come prova per resistere in capo al datore di lavoro fotografando infatti essa la situazione che ha comportato alla sanzione. La contestazione deve essere tempestiva cioè non deve trascorrere molto tempo dall'evento da sanzionare ed essa o comunque non deve trascorrere troppo tempo da quanto il datore di lavoro ne ha avuto la conoscenza.
  2. Fase di Difesa: Prima del trascorrere di cinque giorni, dal momento della ricezione da parte del lavoratore della contestazione, il datore di lavoro non può applicare la sanzione. Questo periodo è comunemente detto "Pausa di Riflessione" e evita di far attuare sanzioni a caldo. Ma i cinque giorni servono anche al lavoratore per il soddisfacimento del suo diritto di difesa. Il lavoratore ha infatti diritto ad essere sentito dal datore di lavoro (che è obbligato a sentirlo) per avanzare le sue scusanti. Il lavoratore può essere assistito in questa fase da un rappresentante sindacale (se iscritto al sindacato dovrà solo farne richiesta altrimenti dovrà affidargli l'incarico per mandato). Il lavoratore può anche solo inviare una memoria scritta. Se il lavoratore rifiuta questo suo diritto non significa che ammette la sua colpa. Si discute se dopo l'espletamente del diritto di difesa da parte del lavoratore o il rifiuto debbano o meno comunque trascorrere i cinque giorni. La tesi maggioritaria è nel far comunque trascorrere normalmente i cinque giorni.
  3. Fase di Decisione: Il datore di lavoro se decide di applicare la sanzione comunica per iscritto al lavoratore la sanzione prescritta. In mancanza della comunicazione non c'è sanzione. Il datore nell'impartire la sanzione può tener conto anche della Recidiva (di cui all'ultimo comma) e questa è una possibile aggravante se prevista dal Codice Disciplinare. A tal fine non si può ritenere come recidiva una sanzione inflitta da più di due anni o comunque che non è stata inflitta pur essendoci stato il Procedimento Disciplinare. Il silenzio del datore implica la non applicazione della sanzione. Non esiste però un termine legale entro il quale il datore di lavoro deve imporre la sanzione se vuole. A coprire questa assenza sono intervenuti sia i contratti collettivi, che fissano un termine di trenta giorni, sia la giurisprudenza, che impone la tempestività.

Contro questa atto c'è la possibilità di una impugnazione davanti all'autorità giudiziaria. Ma l'articolo 7 indica una strada alternativa che è il collegio di conciliazione arbitraria o altre forme che possono prevedere i contratti collettivi. Il lavoratore si rivolge alla Direzione del Lavoro (Ufficio del Lavoro) entro 20 giorni e nomina un suo rappresentante. Il datore di lavoro deve entro dieci giorni nominare anche un suo rappresentante. Nel caso non lo faccia la sanzione decade. Le due parti di comune accordo oppure in caso di non accordo la Direzione del Lavoro (Ufficio del Lavoro) nominano un terzo membro. I tre membri decideranno sulla questione. Nel mentre la sanzione rimane sospesa fino alla decisione.

Obblighi del datore di lavoro

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Il datore di lavoro, poi, ha l’obbligo di:

  • corrispondere il trattamento economico dovuto, ovverosia la retribuzione (art. 2099 c.c.), con i relativi accessori, e di provvedere agli obblighi previdenziali e assistenziali previsti dalla legge e dal contratto collettivo;
  • garantire la sicurezza sul lavoro;
  • tutelare la privacy dei lavoratori;
  • informazione e formazione nei confronti del prestatore di lavoro (al quale devono essere comunicati qualifica, mansioni, periodi di ferie, prospetto paga, ecc.), e nei confronti del sindacato che deve essere informato non solamente sul rapporto di lavoro in corso di svolgimento, ma anche sulla gestione complessiva dell'impresa;
  • nominare il "Medico Competente" nei casi in cui la legge preveda la sorveglianza sanitaria obbligatoria per i lavoratori a rischio, ai sensi del testo unico sulla sicurezza sul lavoro (d.lgs. n. 81/2008, art. 18, comma 1, lett. a)).

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